Nella storia del Genoa campeggiano due figure di cittadini britannici: James Richardson «u’ megö ingléize» Spensley e «Mister» William Thomas «Billy» Garbutt, i quali sono come le icone dell’età antica e del Rinascimento del più antico club calcistico italiano. Tra i due, entrambi nati in Inghilterra, esisteva una differenza d’età di quasi sedici anni, essendo il primo nato nel sobborgo londinese di Stoke Newington venerdì 17 maggio 1867 e il secondo ad Hazel Grove, cittadina dal 1974 inglobata in Stockport, località a una decina di chilometri da Manchester, martedì 9 gennaio 1883. Spensley giocò nel Genoa nei primi nove campionati – dal 1898 al 1906 –, avendo nei primi due la funzione di allenatore e in altri cinque – compreso quello del 1907 – la funzione di membro della Commissione Tecnica, mentre Garbutt allenò la formazione rossoblù in diciassette campionati compresi tra il 1912/1913 e il 1947/1948.
Domenica 26 ottobre 1913 si svolsero in Italia le elezioni politiche per la XXIV Legislatura – ricordate per essere state le prime a suffragio universale maschile e per il Patto Gentiloni, accordo politico informale in funzione antisocialista tra il liberali dell’on. Giovanni «il Leone di Dronero» Giolitti e l’Unione Elettorale Cattolica Italiana presieduta dal conte Vincenzo Ottorino Gentiloni – che favorì il mantenimento della maggioranza da parte relativa da parte dell’Unione Liberale. Quel giorno il Campionato Italiano osservò una sosta e sul “Campo del Genoa” si disputò un incontro amichevole tra calciatori stranieri – con Spensley in porta e Garbutt all’ala destra – e italiani tesserati del Genoa (fecero, come si vedrà, eccezione tre elementi della formazione straniera).
Le cronache dell’epoca diedero uno spazio limitato all’avvenimento, fornendo comunque alcune informazioni, che, collazionate, possono permettere di ricostruire per sommi capi quella giornata, che è molto probabilmente stata l’unica occasione in cui i due soprammenzionati personaggi fondamentali nella storia del Genoa hanno giocato insieme. Garbutt era stato costretto a ritirarsi dall’attività agonistica in seguito a un grave incidente avvenuto durante la vittoriosa – per 1-0 – partita interna del Blackburn Rovers, la squadra in cui militava, contro la squadra del Manchester United che avrebbe vinto quel Campionato Inglese 1910/1911. In alcune occasioni, fino a quando ebbe quarant’anni, indossò la maglia della squadra che allenava per disputare incontri amichevoli.
Non è dato sapere chi fu l’arbitro della partita di centodieci anni fa e quali casacche indossarono le due formazioni contendenti in quella partita, di cui non risulta esistano testimonianze fotografiche. Da come sono descritti i tre reparti (di difesa, mediano e d’attacco) delle due squadre si dovrebbe ricavare che la formazione degli stranieri – costituita da quattro inglesi, quattro svizzeri, un norvegese, un irlandese e uno scozzese – abbia attaccato nel primo tempo verso la porta dietro la quale c’erano il “Campo dell’Andrea Doria” e il carcere di Marassi). La formazione avversaria mancava della sua indiscussa «star», Renzo «il figlio di Dio» De Vecchi, prelevato durante l’estate dal Milan, il quale, a dispetto dei vent’anni non ancora compiuti vantava già dodici presenze nella Nazionale Italiana. Nella squadra straniera giocava come terzino sinistro un forte norvegese indicato come Bwastar o Baastad: prendendo per buona la seconda ipotesi potrebbe trattarsi di Einar Friis Baaastad, calciatore del Mercantile SFK Oslo, che aveva disputato sei partite con la Nazionale di quel Paese. Gli altri «aggregati» erano il centromediano svizzero Widmer, molto probabilmente l’ex centravanti del Milan campione d’Italia nel 1906 e nel 1907, che di nome si chiamava Ernst, e la poco identificabile ala sinistra inglese Senchelle. Nel reparto d’attacco agivano sulla destra Garbutt, descritto come ottimo dribblatore, se la doveva vedere con il diciassettenne mediano sinistro Ettore Leale (con lo schema del Metodo erano i mediani a marcare «a uomo» le ali avversarie) e l’allenatore della squadra giovanile (nonché vice nella prima squadra), l’irlandese Thomas Coggins, mentre al centro era il miglior uomo in campo, lo scozzese John Wylie «l’uomo che ride» Grant (autore di una tripletta, grazie alle reti segnate al 21’ e al 36’ del primo tempo e all’inizio della ripresa) e come mezzala sinistra giocava il talentuoso inglese Percy Grahame «Polidor» Walsingham.
Quando le sorti della partita sembravano decise, la squadra degli italiani, che schierava solamente tre titolari (Alessandro Magni, Edoardo «Dino» Mariani, l’anno precedente primo calciatore a rappresentare il Genoa nella Nazionale Italiana, e Angelo «Baletta» Dellacasa I e che ebbe il suo elemento migliore nella minuscola ala sinistra Giovanni Battista «Giobatta» Piano (bloccato, invece, quattordici giorni dopo dall’emozione in Genoa-Andrea Doria 1-0, sua unica presenza in Campionato, a cui ne avrebbe aggiunto due nella Coppa Federale 1915/1916), riuscì grazie alle reti di Pietro Pella, Luigi Benvenuto I e Dellacasa I (i tre componenti della parte centrale del reparto offensivo) a violare la porta valorosamente difesa da Spensley, raggiungendo il provvisorio pareggio. A dare la vittoria alla formazione degli stranieri ci pensò proprio Garbutt con un irresistibile «slalom» tra gli avversari e una successiva conclusione «a botta sicura» da distanza ravvicinata.
Stefano Massa (membro del Comitato Storico Scientifico della Fondazione Genoa 1893)