Domenica 3 giugno 1956: allo stadio “Luigi Ferraris” la Gradinata Sud è gremita da diecimila tifosi della Fiorentina, «laureatasi» campione d’Italia – per la prima volta nella sua storia – in maniera «matematica» con cinque giornate d’anticipo sulla fine del Campionato, che per i viola – imbattuti, con un «bottino» di venti vittorie e tredici pareggi – sarà proprio quel giorno contro il Genoa, il quale, a sua volta, in caso di vittoria o di pareggio, terminerà un campionato – a ventisette anni dall’ultima volta e per la prima in un campionato «a girone unico» – con il proprio terreno inviolato. Al 24’ del primo tempo Guido «Guido il Toro» Gratton porta in vantaggio gli ospiti, consolidando la posizione di imbattibilità della squadra viola, che sarebbe la prima a terminare un massimo Campionato «a girone unico» in quella condizione, e mettendo a repentaglio quella interna del Genoa. Nel secondo tempo, a un quarto d’ora dalla fine, il Genoa, che attacca sotto la Gradinata Nord, si riporta in parità grazie a un calcio di rigore trasformato dallo svedese Gunnar «il Professore» Gren. Tutti contenti? Ma neanche per idea! Con un beffardo pallonetto al volo di sinistro dal limite dell’area di rigore Attilio «Patinella» Frizzi a cinque minuti dalla fine porta il Genoa in vantaggio e allo scadere Riccardo «Carappa» Carapellese fissa con un gran tiro di destro da distanza ravvicinata il risultato sul 3-1 per i padroni di casa. Lo stadio è in visibilio – eccettuati ovviamente i sostenitori viola in Gradinata Sud –, ma tra i tifosi del Genoa più felici ci sono alcuni – più che cinquantenni i più giovani e più che sessantenni i più anziani – che si trovavano in Tribuna d’Onore, invitati dal sodalizio rossoblù: sono «gli Invincibili» del Campionato 1922/1923, quelli che alla “Rondinella” di Roma nel tardo pomeriggio di domenica 22 luglio 1923 avevano festeggiato – dopo la vittoria per 2-0 sulla Lazio, che schierava come centravanti il non ancora diciottenne Fulvio «Fuffo» Bernardini II, trentatré anni dopo allenatore di quella splendida Fiorentina – la conquista dell’ottavo titolo nazionale del Genoa, ottenuta con ventidue vittorie e sei pareggi (la Pro Vercelli dieci anni prima aveva vinto il Campionato Italiano con diciassette successi e due pareggi, quindi disputando nove partite di meno).
Per trovare una squadra nuovamente imbattuta nel massimo Campionato si sarebbe dovuto attendere fino al Campionato 1978/1979 (cioè cinquantasei anni
dopo l’éxploit del Genoa), ma il Perugia di Ilario Castagner, se fu la prima squadra italiana a terminare senza sconfitte (in virtù di undici vittorie e diciannove pareggi) in uno con la formula «a girone unico», non abbinò quel record alla conquista dello Scudetto (essendo terminato in seconda posizione), che fu quell’anno vinto dal Milan di Massimo «Max» Giacomini, dal Campionato successivo con la Stella sulla propria maglia.
Fu proprio la società rossonera ad abbinare conquista dello Scudetto e mantenimento dell’imbattibilità – grazie a ventidue vittorie e dodici pareggi – per tutto il Campionato, sotto la guida di Fabio Capello, nel 1991/1992, cioè a sessantanove anni di distanza dall’ultima volta. Il fatto si sarebbe successivamente ripetuto una sola volta nel Campionato 2011/2012, vinto dalla Juventus di Antonio Conte con ventitré successi e quindici pareggi.
Tornando al Genoa di cent’anni fa, com’è spiegabile la sua straordinaria forza? Nei primi tre campionati successivi alla Prima Guerra Mondiale, la squadra, alla cui guida era tornato fin dal primo l’allenatore inglese «Mister» William Thomas «Billy» Garbutt, aveva sfiorato il titolo nazionale, arrivando nel raggruppamento settentrionale – in cui si decidevano le sorti del Campionato, stante la netta inferiorità delle squadre centro-meridionali – terza nel 1919/1920 e seconda nel 1921/1922, mentre aveva deluso in quello intermedio ai soprammenzionati. Nell’estate del 1922 erano arrivati dalla Sestrese Antonio «Delfo» Bellini – nella sua prima stagione agonistica in rossoblù ancora «riserva di lusso», schierabile sia in difesa sia in attacco – e soprattutto dalla Novese l’ala destra Ettore Neri ed Emilio Aristodemo «Maja» Santamaria I, il quale aveva giocato nel Genoa nell’ultimo campionato prebellico e nel primo dopo il conflitto ed era un attaccante di straordinario talento, in pratica impiegabile in tutti i ruoli del reparto offensivo, meglio se come mezzala o centravanti. Nel reparto offensivo c’erano anche il suo «gemello» fin dai tempi della militanza nell’Andrea Doria, a partire dal 1908, Celeste «Enrico» Sardi I, il «prolifico» e dinamico «bomber» Edoardo Catto e la classica ala sinistra Augusto «Bergamò» Bergamino (la prima riserva era l’ala ambidestra Edoardo «Dino» Mariani, il primo genoano – nel 1912 – ad aver vestito la maglia della Nazionale Italiana). La difesa si avvaleva dell’emergente portiere Giovanni «Ragno» De Prà (dal 1924 estremo difensore degli Azzurri) e del potente terzino destro Daniele «Ninì» Moruzzi, che erano arrivati nell’estate del 1921 dalla formazione genovese della Spes, nonché della straordinaria classe
del capitano del Genoa e della Nazionale Italiana, il terzino sinistro Renzo «il figlio di Dio» De Vecchi. Il reparto più forte della squadra era quello dei mediani (con il Metodo, lo schema calcistico adottato in quel periodo, costruttori del gioco della propria squadra e distruttori di quello avversario), costituito da Ottavio Barbieri, uno dei migliori prodotti del vivaio genoano di sempre, Luigi «Luigin» Burlando, prelevato nell’estate del 1921 dall’Andrea Doria, nelle fila della quale era rimasto come pallanuotista (nel 1920 era andato alle Olimpiadi di Anversa come giocatore delle Nazionali Italiane di calcio e di pallanuoto!), ed Ettore Leale, giunto al suo settimo campionato – nessuno in quella squadra ne aveva disputati quanti lui – con la maglia del Genoa. La loro riserva era Dario Costella, arrivato con Burlando dai «cugini» blubianchi, un giocatore utilissimo, che, oltre ai tre ruoli del reparto mediano, era in grado di giocare tanto in difesa quanto all’attacco. Oltre ai quattordici giocatori menzionati fecero registrare delle presenze altri quattro (quelli che non avrebbero partecipato nella seconda parte dell’estate alla tournée in Argentina e in Uruguay, per la quale vennero aggregati il mediano Giuseppe «Gira» Girani del Padova e gli attaccanti Adolfo «Balon» Baloncieri dell’Alessandria, e i due oriundi – nati rispettivamente in Gran Bretagna, più precisamente in Scozia, e in Argentina – Giovanni «Johnny» Moscardini della Lucchese e Felix «Felice» Romano II della Reggiana): il portiere di riserva Ferdinando Pomati (due), il terzino destro Mario Della Grisa (una) e gli attaccanti Giovanni Battista «Baciccia» Traverso I (una) e Guido Aycard (una, nella quale realizzò una rete in casa contro la Juventus), che sarebbe stato l’ultimo di quella fantastica squadra ad andarsene, martedì 5 ottobre 1993, giorno del suo novantesimo compleanno, essendo, quindi, riuscito a essere l’unico dei sessantasei campioni d’Italia con il Genoa ancora vivente in occasione del Centenario della società.
Stefano Massa (membro del Comitato Ricerca e Storia del Museo del Genoa)