È mancato a Genova, dove era nato domenica 30 settembre 1928, all’età di 91 anni Emilio Caprile, che con la maglia del Genoa giocò non ancora diciottenne (età, che tra l’altro, all’epoca non comportava lo status di maggiorenne, che si raggiungeva tre anni dopo) nella stagione agonistica 1945/1946 (cinque partite nel Girone Settentrionale del Campionato Alta Italia e tre incontri con due reti – entrambe al “Luigi Ferraris”, una di testa nel 5-1 alla Sampierdarenese di domenica 30 giugno 1946 ed una «di rapina» nell’1-1 contro il Novara di domenica 14 luglio 1946 – nella Coppa Alta Italia, «torneo di consolazione» vinto dal Bologna in doppia finale contro il Novara, che aveva avuto la meglio sul Genoa in Semifinale, per le formazioni che non si erano qualificate alla poule finale, aperta a quattro squadre del Nord ed altrettante del Centro-Sud).
Lanciato non ancora diciassettenne in prima squadra da Guido «l’elegante Guido» Ara nella Coppa Città di Genova, conquistata dai rossoblù con il sorpasso all’ultima giornata a spese del Liguria grazie a un successo per 2-0 nello «scontro diretto» di domenica 25 marzo 1945 (era un torneo a cinque squadre negli ultimi mesi di guerra dell’occupazione nazifascista della Superba a cui partecipavano anche l’Itala – una mista di Rivarolese e Sestrese – e le rappresentative della Marina della Repubblica Sociale Italiana e di quella del Terzo Reich), Caprile avrebbe avuto un tremendo «battesimo del fuoco» a livello ufficiale in assoluto e con il Genoa, allenato ad interim dal segretario Enrico «Richin» Silvestri, nella partita di Campionato persa contro l’Internazionale 1-9 (record negativo assoluto di reti subite ed ex aequo di divario con Genoa-Milan 0-8 di domenica 5 giugno 1955) domenica 23 dicembre 1945 alla “Civica Arena” di Milano. Il successivo allenatore, l’ungherese József «Beppe» Violak, lo schierò in quattro occasioni (le tre sconfitte – la prima interna e le altre due esterne – del gennaio 1946 contro Sampierdarenese – 0-2 domenica 6 –, il Bologna – 0-4 domenica 13 – e il Milan – 0-1 mercoledì 24 nel recupero della partita rinviata per neve tre giorni prima – e il pareggio interno «a reti bianche» con il Modena di domenica 10 febbraio) nelle undici partite in cui guidò i rossoblù prima delle sue clamorose dimissioni nell’intervallo della partita in casa dell’Atalanta di domenica 10 marzo a seguito di una lite negli spogliatoi con il portiere Orlando Sain. Se un ex mediano destro (il ruolo che con lo schema del Metodo, ancora largamente adottato negli anni Quaranta, quando iniziava ad affermarsi il Sistema, lo vedeva contrapposto all’ala sinistra) come Ara gli aveva dato modo di giocare le prime partite in prima squadra, un altro che aveva giocato nello stesso ruolo, di cui aveva a un anno di distanza, nel 1921, «raccolto l’eredità» nella Nazionale Italiana, Ottavio Barbieri, non lo schierò mai nelle cinque ultime partite di Campionato e nelle cinque iniziali della Coppa Alta Italia. «Mister» William Thomas «Billy» Garbutt, il tecnico inglese che tornò dopo sei anni – durante la Seconda Guerra Mondiale aveva subito il confino come cittadino di uno stato belligerante con l’Italia ed aveva perso sotto un bombardamento degli Alleati la moglie, Anna Stewart, sabato 13 maggio 1944 – alla guida del Genoa (di cui fu il quinto allenatore in quella stagione agonistica) comprese le doti della giovanissima ala sinistra, che aveva, in un calcio che non contemplava sostituzioni, davanti a sé nel suo ruolo due giocatori del calibro di Ugo Conti e Pietro «Pierino» Sotgiu, mettendola in campo in tre occasioni.
Nella stagione agonistica successiva Caprile scese di categoria, giocando nel campionato cadetto con la Sestrese: le sue 19 reti in quaranta partite non riuscirono a salvare i verdestellati dalla retrocessione in Serie C, a cui nel Girone A (quello nord-occidentale) erano condannate cinque squadre su ventidue. Ancora più difficile era la salvezza in quello successivo, in cui, in vista del passaggio nella successiva edizione al Campionato di Serie B «a girone unico» si salvavano in ciascuno dei tre gironi solamente le squadre classificatesi dal secondo al settimo posto (la prima era promossa in Serie A). Fu quella la prima delle cinque stagioni in cui Caprile indossò la maglia lilla del Legnano (le successive quattro, tutte di Serie B ad eccezione dell’ultima, giocata in Serie C, tra il 1954/1955 e il 1957/1958 con 33 reti in centoventotto presenze), squadra più competitiva di quella in cui aveva militato nel precedente campionato, che si piazzò nel Girone A al quarto posto. Pur avendo segnato di meno (13 reti), ma anche giocato di meno (trentaquattro partite) rispetto al precedente Campionato, Caprile non passò inosservato ai più alti livelli e nell’estate del 1948 ricevette la chiamata della Nazionale Italiana per le Olimpiadi di Londra (onorata con due reti – la penultima nel trionfale 9-0 agli Stati Uniti d’America al “Griffin Park” di Brentford lunedì 5 agosto e quella del 2-2 nella sconfitta per 3-5 inflitta dalla Danimarca tre giorni dopo a Londra all’“Arsenal Stadium”, noto con il nome di Highbury, il quartiere che lo ospitò fino al 2006 –, «capolinea» a trentasei anni dal primo mandato e a diciannove dall’ultimo insediamento della carriera azzurra di Vittorio Pozzo) e della Juventus, che in quello che fu l’ultimo Campionato vinto dal Grande Torino (annientato dalla Tragedia di Superga di mercoledì 4 maggio 1949) gli affidò la maglia con il numero 11 (il mancino ex genoano andò a segno 9 volte in trentadue incontri). Avendo acquistato nel suo ruolo il forte danese Karl Aage Andersen Praest (che aveva giocato centravanti nella soprammenzionata partita di Londra), la Juventus lo cedette in prestito biennale all’Atalanta. Particolarmente rilevante fu la prima delle due stagioni agonistiche, chiusa dagli orobici all’ottavo posto in coabitazione con la Triestina, in cui Caprile, grazie alle sue prestazioni e alle 14 reti in trentadue partite, si guadagnò la convocazione alla fase finale della Coppa Rimet del 1950 in Brasile, in cui fu «chiuso» da capitan Riccardo «Carappa» Carapellese e dovette seguire dalla Tribuna dell’“Estadio Municipal do Pacaembu” di San Paolo del Brasile la decisiva sconfitta (2-3) contro la Svezia di domenica 25 luglio e l’inutile vittoria (2-0) contro il Paraguay di domenica 2 luglio dei campioni del mondo uscenti. Meno brillante fu la seconda delle sue stagioni bergamasche con 2 reti in trenta partite, che non gli impedirono comunque di fare ritorno, come riserva di Andersen Praest, alla Juventus, alla conquista del cui nono titolo nazionale (l’unico Scudetto della sua carriera) avrebbe contribuito con 2 reti in cinque presenze. Passato alla Lazio, domenica 19 aprile 1953 Caprile segnò la sua seconda ed ultima rete per i biancocelesti (quella del provvisorio vantaggio nella partita interna pareggiata 1-1 con l’Internazionale) e la ventinovesima ed ultima in Serie A (la sua «vittima preferita» fu la Sampdoria, affrontata cinque volte – tre con la maglia della Juventus e due con quella dell’Atalanta – a cui realizzò una rete da bianconero e tre da neroazzurro, mentre mai fece scattare la legge non scritta del calcio del «goal dell’ex» nelle cinque partite – una da juventino e quattro da atalantino – disputate contro il Genoa), domenica 24 maggio 1953 nell’incontro perso in casa 0-1 di fronte a circa settantamila spettatori contro la Juventus fu uno dei ventidue protagonisti della prima partita di Campionato giocata allo Stadio “Olimpico” di Roma e sette giorni dopo fece registrare nella partita persa 0-3 in casa della Triestina la sua ventesima presenza nella Lazio e centoventiquattresima ed ultima nella massima serie. Visto che il nuovo allenatore della Lazio, Mario Sperone, gli preferiva Alberto Fontanesi I, Caprile passò nel mercato autunnale al Como, che giocava in Serie B, in cui segnò 3 reti in ventuno partite disputate. Dopo quella breve esperienza lariana ci furono il già ricordato quadriennio nel Legnano e poi una stagione agonistica con due reti in quattordici presenze tra i dilettanti della Sammargheritese.
Alla famiglia Caprile vadano le più sentite condoglianze della Fondazione Genoa 1893, alle quali si associano a titolo personale quelle del redattore dell’articolo, che conosceva da una dozzina d’anni lo scomparso, in compagnia e a casa del quale nella scorsa stagione agonistica ha assistito in televisione a quattro partite del Genoa e alla Finalissima di Coppa Italia tra Lazio ed Atalanta (tutte e tre squadre in cui aveva militato).
Stefano Massa
(membro del Comitato Ricerche e Storia della Fondazione Genoa 1893)
Didascalia foto: Domenica 25 marzo 1945: Il Genoa (da sinistra a destra: Poggi II, Marchese, il segretario Tosi, Verrina, Andrighetto, Callegari, il presidente Lorenzo, Bonilauri, Zecca; piegato con le mani sulle ginocchia: G.Neri; accosciati: Caprile, Genta, Bacigalupo IX, il massaggiatore Pelizza I) festeggia la vittoria nella Coppa Città di Genova.